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Decreto-Legislativo 29 novembre 2018, n. 142 – Recepimento della Direttiva ATAD
Sommario
1. Deducibilità degli interessi passivi (art. 1)
2. Tassazione in uscita – “exit tax” (art. 2)
3. Valorizzazione dei beni in entrata (art. 3)
4. Disciplina in materia di società controllate estere – “CFC” (art. 4)
5. Dividendi e plusvalenze relativi a partecipazioni non residenti (art. 5)
6. Disallineamenti da ibridi (art. 6-11)
7. Definizione di intermediari finanziari (art. 12)
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Il Decreto Legislativo 29 novembre 2018, n. 142 (di seguito il “Decreto”) recepisce in Italia il contenuto della Direttiva 2016/1164/UE (cd. Direttiva “ATAD 1”), come modificata dalla Direttiva 2017/952/UE (cd. Direttiva “ATAD 2”), recante norme contro le pratiche di elusione fiscale internazionale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno, la cui efficacia decorre dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, ad eccezione della nuova definizione di intermediari finanziari, già in vigore dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018, e della disciplina volta a contrastare i disallineamenti da ibridi, che entrerà invece in vigore a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 con l’eccezione dei disallineamenti da ibridi inversi, la cui disciplina entrerà in vigore nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2021.
- Deducibilità degli interessi passivi (art. 1).
L’art. 1 del Decreto riscrive l’art. 96 del d.P.R 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito “Tuir”) in materia di deducibilità degli interessi passivi, pur mantenendo l’impostazione base, che limita la deduzione degli interessi passivi netti (rectius: degli interessi passivi al netto degli interessi attivi) al 30% del ROL, introduce significative modifiche.
In dettaglio, le principali modifiche apportate all’art. 96, Tuir interessano:
A. il presupposto oggettivo. In particolare,
- tra gli interessi passivi vengono ricompresi anche quelli capitalizzati nel valore dei materiali e immateriali strumentali per l’esercizio dell’impresa ai sensi dell’art. 110, comma 1, lett. b), Tuir;
- gli interessi passivi e attivi oggetto di tale disciplina devono presentare i seguenti tre requisiti:
- si qualificano come tali ai fini contabili;
- si qualificano come tali secondo la normativa fiscale;
- derivano da (a) una operazione finanziaria, (b) un rapporto contrattuale avente causa finanziaria, ovvero (c) un rapporto contrattuale contenente una componente finanziaria significativa;
- gli interessi attivi devono assumere rilevanza fiscale;
- tra gli interessi passivi ed attivi sono inclusi anche i proventi e gli oneri che, pur derivando da strumenti finanziari che, in base alla corretta applicazione dei principi contabili adottati, sono qualificati come strumenti rappresentativi di capitale, sono imponibili o deducibili in capo, rispettivamente, al percettore e all’erogante;
B. la riportabilità delle eccedenze. In particolare, pur mantenendo ferma la riportabilità delle eccedenze di interessi passivi non dedotti senza limiti di tempo, è stata:
- introdotta la possibilità di riportare in avanti, sempre senza limiti di tempo, le eccedenze di interessi attivi;
- limitata la riportabilità delle eccedenze di ROL a cinque annualità (in luogo della precedente riportabilità illimitata) con un loro utilizzo secondo il criterio del FIFO;
C. la quantificazione del ROL, che dovrà essere effettuata sulla base dei valori fiscali delle voci di costo e di ricavo rilevanti (cd. Ebitda fiscale) e non più attraverso valori di derivazione contabile.
Circa poi la disciplina transitoria di tali novità, entrate in vigore il 1° gennaio 2019 per i soggetti che presentano un esercizio fiscale coincidente con quello solare, l’art. 12 del Decreto prevede:
- la riportabilità senza limiti di tempo delle eccedenze di interessi passivi in essere al 31 dicembre 2018;
- la quantificazione dell’Ebitda fiscale (i) mediante l’esclusione di proventi e oneri che non hanno assunto rilevanza fiscale in passato e che assumono rilevanza fiscale dal 1° gennaio 2019 e (ii) considerando i valori contabili dei proventi e gli oneri che rappresentano una rettifica con segno opposto di voci del valore e dei costi della produzione rilevante nei conti economici fino al 31 dicembre 2018;
- l’ultrattività del ROL in essere al 31 dicembre 2018, da compensare tuttavia esclusivamente con interessi passivi riferibili a finanziamenti ante 17 giugno 2016.
- Tassazione in uscita – “exit tax” (art. 2).
L’art. 2 del Decreto riformula l’articolo 166 del Tuir sul trasferimento all’estero di imprese commerciali. In termini generali, tale articolo prevede che l’Italia eserciti la propria potestà impositiva sulle plusvalenze non ancora realizzate – nonché sulle riserve in sospensione d’imposta – nel momento in cui i componenti dell’azienda o del complesso aziendale cui essi si riferiscono fuoriescono dal regime d’impresa domestico.
Nello specifico, le principali modifiche apportate dal Decreto interessano le seguenti tematiche:
A. presupposto oggettivo. In primo luogo, il nuovo comma 1 dell’art. 166 del Tuir identifica cinque fattispecie al ricorrere delle quali trova applicazione la disciplina della tassazione in uscita. In particolare, l’exit tax si applica ai soggetti che esercitano imprese commerciali qualora si verifichi una delle seguenti ipotesi: (i) sono fiscalmente residenti nel territorio dello Stato e trasferiscono la propria residenza fiscale all’estero; (ii) sono fiscalmente residenti nel territorio dello Stato e trasferiscono attivi ad una loro stabile organizzazione situata all’estero con riferimento alla quale si applica l’esenzione degli utili e delle perdite di cui all’articolo 168-ter la c.d. “Branch Exemption”; (iii) sono fiscalmente residenti all’estero, possiedono una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato e trasferiscono l’intera stabile organizzazione alla sede centrale o ad altra stabile organizzazione situata all’estero; (iv) sono fiscalmente residenti all’estero, possiedono una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato e trasferiscono attivi facenti parte del patrimonio di tale stabile organizzazione alla sede centrale o ad altra stabile organizzazione situata all’estero; (v) sono fiscalmente residenti nel territorio dello Stato e sono stati oggetto di incorporazione da parte di una società fiscalmente non residente oppure hanno effettuato una scissione a favore di una o più beneficiarie non residenti oppure hanno effettuato il conferimento di una stabile organizzazione o di un ramo di essa situati all’estero a favore di un soggetto fiscalmente residente all’estero.
B. l’introduzione del “valore di mercato”. Ai fini della determinazione della plusvalenza in uscita il Decreto, in sostituzione del valore normale, introduce il concetto del valore di mercato utilizzato dalla disciplina in tema di transfer price. In maggior dettaglio, il quarto comma del nuovo art. 166 Tuir prevede che il valore del mercato è determinato con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili tenendo conto, qualora si tratti di valore riferibile a un complesso aziendale o a un ramo di azienda, del valore dell’avviamento, calcolato tenendo conto delle funzioni e dei rischi trasferiti.
C. disciplina delle perdite fiscali. Il Decreto fornisce degli specifici chiarimenti in merito al trattamento delle perdite fiscali realizzate fino al termine dell’ultimo periodo d’imposta di residenza in Italia. In particolare, viene espressamente previsto che qualora, successivamente al trasferimento di residenza all’estero, non rimanga nel territorio dello Stato una stabile organizzazione, le perdite degli esercizi precedenti a quello in cui avviene il trasferimento compensano prioritariamente il reddito dell’ultimo periodo d’imposta di residenza in Italia, senza applicazione del limite previsto dall’art. 84 del Tuir. L’eventuale eccedenza è computata in diminuzione della plusvalenza generatasi.
D. versamento dell’imposta. La principale novità introdotta dal Decreto interessa il regime previsto per il versamento dell’imposta. In particolare, l’art.166 così come modificato dal Decreto prevede, per i soggetti che trasferiscono la residenza, ai fini delle imposte sui redditi, nella UE o in Stati aderenti allo SEE, con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo per la reciproca assistenza in materia di riscossione, la possibilità di optare per la rateizzazione dell’imposta per un massimo di cinque rate annuali di pari importo. Dal nuovo testo della norma si evince, dunque, l’eliminazione del regime di sospensione del versamento della tassazione fino al realizzo effettivo della plusvalenza relativa agli elementi trasferiti (sebbene sempre in un arco di tempo massimo pari a 10 anni), nonché la riduzione della rate da sei a cinque.
- Valorizzazione dei beni in entrata (art. 3).
Coerentemente con le innovazioni introdotte in materia di tassazione in uscita (c.d. “exit tax”), l’art. 4 del Decreto introduce talune modifiche all’art. 166-bis del Tuir, in materia di determinazione dei valori fiscali delle attività e delle passività introdotte nel territorio italiano da parte di soggetti esteri (c.d. “entry tax”).
Le principali modifiche riguardano:
- la delimitazione del campo di applicazione della disposizione, mediante l’individuazione di un preciso elenco di fattispecie, e
- la definizione del concetto di “valore di mercato”, adottato come principale valore di riferimento.
In specie, la disciplina dell’“entry-tax” trova applicazione al ricorrere di una delle fattispecie individuate al nuovo comma 1 dell’art. 166-bis del Tuir, vale a dire nel caso in cui:
a. imprese commerciali estere trasferiscano la propria residenza in Italia;
b. soggetti fiscalmente residenti all’estero trasferiscano attivi a una propria stabile organizzazione localizzata in Italia;
c. soggetti fiscalmente residenti all’estero trasferiscano un complesso aziendale in Italia;
d. soggetti fiscalmente residenti in Italia, titolari di una stabile organizzazione all’estero in relazione alla quale si applica il regime di “branch exemption” previsto all’art. 168-ter del TUIR, trasferiscano attivi da tale stabile organizzazione alla “sede centrale” italiana;
e. imprese commerciali fiscalmente residenti all’estero e.1. siano fuse per incorporazione in soggetti fiscalmente residenti in Italia; e.2. effettuino una scissione del proprio patrimonio a beneficio di uno o più soggetti residenti in Italia; oppure e.3. conferiscano una stabile organizzazione situata all’estero a favore di un soggetto fiscalmente residente in Italia.
Qualora le attività e le passività così introdotte nel territorio italiano provengano da Paesi dell’Unione Europea, o da Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni (ai sensi del d.m. 4 settembre 1996), il valore fiscale sarà assunto in misura pari al loro “valore di mercato”.
A tal proposito, il nuovo comma 4 dell’art. 166-bis del Tuir definisce il “valore di mercato” in termini analoghi a quanto previsto in materia di transfer pricing, rinviando espressamente alle indicazioni in materia recate dal d.m. 14 maggio 2018. Il comma 4 chiarisce altresì che, nel caso in cui sia necessario attribuire il “valore normale” a un “complesso aziendale o a un ramo di azienda”, si tenga conto (anche) del valore dell’avviamento, determinato avendo riguardo alle funzioni e ai rischi oggetto di trasferimento.
Nel caso in cui le attività e le passività introdotte nel territorio italiano a seguito di una delle operazioni in precedenza indicate provengano da Paesi diversi da quelli dell’Unione Europea, o da Paesi che non garantiscono un adeguato scambio di informazioni, il valore fiscale delle attività e delle passività è determinato:
- qualora sia stato concluso con l’Amministrazione finanziaria italiana un “accordo preventivo” ai sensi dell’art. 31-ter, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (c.d. “advanced pricing agreement”), in misura pari al “valore di mercato” determinato ai sensi dell’“accordo preventivo”, ovvero,
- in mancanza di tale accordo, raffrontando (i) il costo di acquisto, (ii) il valore di bilancio, e (iii) il “valore di mercato” determinato secondo la regola generale sopra descritta, e indicando, per le attività, il minore dei predetti valori, mentre, per le passività, il maggiore.
- Disciplina in materia di società controllate estere – “CFC” (art. 4).
Il Decreto modifica il regime in materia di imprese estere controllate (“CFC”) di cui all’art. 167 del Tuir in riferimento alle condizioni necessarie per l’applicazione del regime.
In dettaglio, le principali modifiche apportate interessano:
A. il presupposto soggettivo. La tassazione per trasparenza è stata estesa anche alle stabili organizzazioni italiane di soggetti non residenti che controllano entità estere qualificabili come CFC.
B. la determinazione del limite del controllo. Oltre alla rilevanza del controllo “legale” previsto dall’art. 2359 del codice civile, è stato previsto che i soggetti non residenti si considerano “controllati” anche qualora un soggetto italiano detenga, direttamente o indirettamente, una partecipazione ai loro utili superiore al 50 per cento.
C. le condizioni per l’applicabilità del regime. Il Decreto elimina la distinzione fra soggetti esteri UE/SEE ed extra UE/SEE ai fini del regime in parola. In maggiore dettaglio, i soggetti controllati esteri (a prescindere dalla loro residenza) saranno considerati CFC a condizione che:
i) siano assoggettati a un livello di tassazione effettivo (non è più previsto alcun riferimento al livello di tassazione nominale) inferiore al 50 per cento di quello cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia; e
ii) conseguano oltre un terzo dei proventi da redditi di tipo passive [1].
D. la causa esimente. La nuova formulazione dell’art. 167 del TUIR, abroga le due cause esimenti previste dalla previgente formulazione. Ai fini della disapplicazione della tassazione per trasparenza, infatti, il soggetto controllante residente può unicamente dimostrare, mediante presentazione di apposito interpello, che l’entità estera controllata “svolge un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali”.
Non da ultimo, l’art. 13 del Decreto chiarisce che, ove compatibili con la nuova formulazione dell’art. 167 del Tuir, rimangono applicabili le disposizioni del D.M. 21 novembre 2001, n. 429 recante la disciplina attuativa del regime CFC.
- Dividendi e plusvalenze relativi a partecipazioni non residenti (art. 5).
L’art. 5 del Decreto ha rivisitato la disciplina fiscale che regola la tassazione dei dividendi e delle plusvalenze relative a partecipazioni detenute in soggetti residenti in Paesi esteri a regime fiscale privilegiato.
In particolare, viene introdotto il nuovo art. 47-bis, Tuir, che definisce i criteri per individuare i Paesi a fiscalità privilegiata, e vengono modificate le esimenti per la detassazione integrale dei dividendi provenienti da (e delle plusvalenze realizzate dalla vendita di) società residenti in Paesi a fiscalità privilegiata.
A. Il nuovo art. 47-bis.
Il “nuovo” art. 47-bis del Tuir detta i criteri per l’individuazione dei Paesi esteri, diversi da quelli appartenenti all’Unione Europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo, a fiscalità privilegiata, distinguendo a seconda che il soggetto italiano detenga, o meno, il controllo (anche indiretto) della società estera, vale a dire:
a) nel caso di partecipazioni di controllo, quei paesi il cui livello di tassazione effettiva è inferiore al 50 per cento rispetto a quello italiano;
b) nel caso di partecipazioni che non integrano il requisito del controllo, quei paesi il cui livello di tassazione nominale è inferiore al 50 per cento di quello italiano. In questo caso, il confronto con il livello di tassazione nominale deve essere condotto avendo riguardo anche ai c.d. “regimi speciali”, ossia ai particolari trattamenti fiscali che l’ordinamento estero può riconoscere solo al ricorrere di determinati requisiti (non applicabili, quindi, alla generalità dei soggetti), quali quelli connessi ad un determinato status soggettivo ovvero a una particolare ubicazione territoriale del contribuente, oppure al carattere temporaneo della disciplina fiscale di favore.
Al verificarsi dei predetti requisiti trova applicazione, quindi, il regime di integrale tassazione dei relativi dividendi (artt. 47 e 89 del Tuir) e delle plusvalenze, in ambito delle imposte sui redditi (artt. 68 e 87 del Tuir).
B. Esimente per la detassazione dei dividendi.
La tassazione integrale dei dividendi non trova applicazione laddove il contribuente dimostri, anche per il tramite di un’apposita istanza di interpello, che dalle partecipazioni, sin dall’inizio del periodo di possesso (“periodo di monitoraggio”), non consegue l’effetto di localizzare redditi in uno Stato a fiscalità privilegiata (art. 47-bis, co. 2, lett. b) Tuir).
Laddove invece il contribuente dimostri l’esercizio di un’attività commerciale effettiva (art. 47-bis, co. 2, lett. a)), i dividendi percepiti da soggetti passivi IRES di cui all’articolo 73, co. 1, lett. a) e b) – e non per i soggetti IRPEF – saranno esclusi da imposizione in misura pari al 50 per cento.
In tale ultima ipotesi, laddove il contribuente detenga altresì il controllo, lo stesso avrà diritto ad un credito di imposta indiretto.
C. Esimente per la detassazione delle plusvalenze.
A questi fini, l’art. 5 del Decreto apporta le seguenti principali modifiche:
1) all’art. 68 del Tuir, (i) la tassazione integrale delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in società localizzate in paesi a fiscalità privilegiata viene disapplicata in tutti i casi in cui la partecipazione (sia qualificata, sia non qualificata) sia relativa a società le cui azioni siano negoziate in mercati regolamentati e (ii) viene previsto che, ai fini della dimostrazione dell’esimente di cui all’art. 47-bis, co. 2, lett. b) Tuir, per le cessioni poste in essere con controparti esterne al gruppo, il “periodo di monitoraggio” è ridotto a cinque anni.
2) all’art. 87 del Tuir, viene prevista la medesima previsione di cui al precedente punto 1) per quanto attiene al periodo di monitoraggio limitato al quinquennio antecedente la cessione.
- Disallineamenti da ibridi (art. 6-11).
Gli articoli da 6 a 11 del Decreto introducono nel sistema tributario italiano una disciplina “ad hoc” mirata a contrastare il fenomeno dei disallineamenti da ibridi transnazionali. Si tratta, in particolare, dei fenomeni (concretamente verificatisi) di doppia deduzione([2]), ovvero di deduzione senza inclusione([3]), derivanti da conflitti di qualificazione (e non da sgravi fiscali concessi, ad esempio, in termini di esenzione del provento da parte dello Stato di residenza) di strumenti finanziari, pagamenti, entità, stabili organizzazioni o da allocazione dei pagamenti.
In seguito alla definizione dei principali termini applicabili a tale disciplina, contenuta negli articoli 6 e 7, il Decreto si occupa di delineare le diverse modalità di contrasto ai suddetti disallineamenti.
A. Doppia deduzione. In relazione a tali fenomeni, che vedono la deduzione del medesimo componente di costo in due giurisdizioni diverse, viene previsto che la società italiana è tenuta a disconoscere la deduzione del costo quando l’Italia:
- si qualifica come Stato dell’investitore, ovvero;
- si qualifica come Stato del pagatore, ove lo Stato dell’investitore non abbia negato la deducibilità del costo.
B. Deduzione senza inclusione. Circa, invece, i fenomeni di deduzione senza inclusione, che vedono la deduzione di un costo e la non tassazione del relativo provento, viene previsto che la società italiana è tenuta a:
- disconoscere la deduzione del costo quando si qualifica come Stato del pagatore (a meno che tale disallineamento non sia stato già eliminato in un altro Stato); e
- tassare il provento quando l’Italia si qualifica come Stato del beneficiario e quando lo Stato del pagatore non disconosce la deduzione del costo (a meno che tale disallineamento non sia stato già eliminato in un altro Stato).
C. Disallineamenti da ibridi importati. In tale contesto viene negata la deducibilità del costo ogniqualvolta questo finanzi, direttamente o indirettamente, un onere deducibile che genera un disallineamento da ibridi.
D. Stabili organizzazioni disconosciute. Il quarto comma dell’art. 8 del Decreto si occupa di definire le modalità di contrasto alle stabili organizzazioni estere disconosciute, ossia alle stabili organizzazioni – cui si applica un regime di “branch exemption” – localizzate in stati che non ne riconoscono l’esistenza. Ove si dovesse verificare tale casistica è compito dello Stato di residenza quello di assoggettare a tassazione il reddito della stabile organizzazione estera. A tale previsione fa eccezione il caso in cui è il trattato contro le doppie imposizioni a prevedere l’obbligo di esentare il reddito estero.
E. Ibridi inversi. Il successivo art. 9 si occupa di individuare le modalità di contrasto ai c.d. “ibridi inversi”, ossia a casi di deduzione senza inclusione che si verificano quando un componente di reddito è attribuito ad una società che è considerata “trasparente” dal suo Stato di residenza ed opaca dallo Stato di residenza del proprio socio. In tal caso, infatti, il componente di reddito non verrebbe ad essere assoggettato a tassazione né in capo alla società del Paese che la considera trasparente, né in capo alla società del Paese che la considera opaca. Tale fenomeno viene contrastato con la tassazione del reddito della società “ibrida inversa” nel paese di residenza del socio.
F. Disallineamento da residenza fiscale. L’art. 10 del Decreto si occupa di dirimere i casi che coinvolgono le società residenti fiscalmente in due Stati Membri (cd. “dual resident company”). In tale contesto viene previsto che la deduzione di un componente di costo, che non presenta un corrispondente provento tassato in entrambi gli Stati, è disconosciuta nel paese dove la società non è considerata residente ai fini della convenzione per evitare le doppie imposizioni in vigore tra i due Stati. Laddove il disallineamento da residenza fiscale coinvolga uno Stato extra-UE, la deduzione deve essere disconosciuta dallo Stato Membro europeo.
Da ultimo, in materia di controlli, l’art. 11 del Decreto precisa che l’accertamento di eventuali violazioni in materia di ibridi deve essere preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile una violazione. Mediante tale articolo si introduce dunque una forma di contraddittorio preventivo rispetto all’emissione dell’avviso di accertamento tra contribuente ed amministrazione in una materia fortemente scivolosa.
- Definizione di intermediari finanziari (art. 12).
L’art. 12 del Decreto introduce una definizione unitaria di intermediario finanziario ai fini fiscali.
Anzitutto, viene sostituito il riferimento a banche e/o enti/intermediari creditizi/finanziari contenuto, rispettivamente, agli artt. 96, comma 5, 106, commi 3 e 4, 113, commi 1, 2 lett. b), 5 e 6 del Tuir, all’art. 6, commi 1 e 2, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (c.d. Decreto IRAP) e, ancora, all’art. 1, comma 65, l. 28 dicembre 2015, n. 208 (addizionale IRES), con l’espressione “intermediari finanziari”.
Inoltre, l’art. 12, comma 1, lett. d) del Decreto aggiunge nel Tuir l’art. 162-bis, rubricato “Intermediari finanziari e società di partecipazione”, al cui comma 1 definisce, sia ai fini IRES che ai fini IRAP,
a) intermediari finanziari:
1) i soggetti di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), d.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38 e i soggetti con stabile organizzazione nel territorio dello Stato aventi le medesime caratteristiche;
2) i confidi iscritti nell’elenco di cui all’art. 112-bis, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385;
3) gli operatori del microcredito iscritti nell’elenco di cui all’art 111, d.lgs. n. 385, citato;
4) i soggetti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in intermediari finanziari, diversi da quelli di cui al numero 1);
b) società di partecipazione finanziaria: i soggetti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in intermediari finanziari;
c) società di partecipazione non finanziaria e assimilati:
1) i soggetti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in soggetti diversi dagli intermediari finanziari;
2) i soggetti che svolgono attività non nei confronti del pubblico di cui all’art. 3, comma 2, del regolamento emanato in materia di intermediari finanziari in attuazione degli artt. 106, comma 3, 112, comma 3 e 114, d.lgs. n. 385, citato, nonché dell’art. 7-ter, comma 1-bis, l. 30 aprile 1999, n. 130.
Al successivo comma 2 dell’art. 162-bis del Tuir, viene stabilito che l’esercizio in via prevalente dell’attività di assunzione di partecipazioni in intermediari finanziari sussiste quando, in base ai dati del bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio chiuso, l’ammontare complessivo delle partecipazioni in detti intermediari finanziari e altri elementi patrimoniali intercorrenti con gli stessi, unitariamente considerati, inclusi gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate, sia superiore al 50 per cento del totale dell’attivo patrimoniale, inclusi gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate.
Specularmente, al comma 3 viene sancito che l’esercizio in via prevalente di attività di assunzione di partecipazioni in soggetti diversi dagli intermediari finanziari sussiste quando, in base ai dati del bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio chiuso, l’ammontare complessivo delle partecipazioni in detti soggetti sia superiore al 50 per cento del totale dell’attivo patrimoniale.
In ambito IRAP, il Decreto modifica il comma 9 dell’art. 6, d.lgs. n. 446, citato, stabilendo che la norma ivi contenuta si applica alle società di partecipazione non finanziaria e assimilati.
Il Decreto interviene, infine, sugli obblighi di comunicazione all’anagrafe tributaria, stabilendo nel novellato art. 10, comma 10, d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 che tali obblighi permangono nei confronti delle società di partecipazione non finanziaria e assimilati, anche se esclusi dagli obblighi di cui all’art. 106, d.lgs. n. 385, citato.
Quanto alla decorrenza della novella in commento, l’art. 13 del Decreto prevede che:
- la stessa si applica a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018;
- con riferimento ai periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2018 ai quali si applicano le disposizioni di cui al d.lgs. 18 agosto 2015, n. 136 ovvero, nel caso delle società di partecipazione non finanziaria, quelle di cui al d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, e per i quali i termini per il versamento a saldo delle imposte sui redditi sono scaduti anteriormente alla medesima data, sono fatti salvi gli effetti ai fini IRES e IRAP, relativi ai medesimi periodi d’imposta, derivanti dall’applicazione delle disposizioni vigenti in tali periodi, anche se non coerenti con le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 162-bis, Tuir. Tali effetti sono fatti salvi purché prodotti da comportamenti tra loro coerenti manifestati entro l’8 agosto 2018.
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[1] Per proventi da redditi di tipo passive si intendono: interessi, royalties, dividendi, plusvalenze, redditi da leasing finanziario, redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie e proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni, e prestazione di servizi, infragruppo con valore economico aggiunto scarso o nullo.
[2] Tale fattispecie si verifica, ad esempio, quando il costo è deducibile sia in capo alla casa madre che in capo alla sua stabile organizzazione estera (rectius: si verifica una doppia deduzione), senza che il provento con cui viene compensato tale costo nel paese della stabile organizzazione (in quanto, ad esempio, tale provento è riconducibile ad una società inclusa nel consolidato fiscale della stabile organizzazione) sia tassato anche nello Stato della casa madre (rectius: non si verifica una doppia inclusione).
[3] Tale fattispecie si verifica, ad esempio, quando uno strumento finanziario è considerato un titolo di debito (deducibile) nello Stato del pagatore e un titolo di capitale (esente) nello Stato del beneficiario.
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